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Nei suoi occhi avevo già letto quello che un attimo dopo si sarebbe rivelato nei colori delle figure dei quadri, appesi alle pareti scrostate dello studio. Figure che sembravano vivere in uno spazio troppo piccolo per poter esprimere in pieno l’urlo, la fuga, l’amore. Erano pervase da una grande verità: il bisogno di lottare per raggiungere la libertà primigenia di ogni essere vivente. La sua idea dell’arte non è una rivelazione astratta o trascendentale; piuttosto una ricerca che fa esplodere tensioni interiori in disarticolati gesti che deformano i corpi dopo aver consumato lentamente l’anima. Le erosioni del suo vivere, la solitudine, gocciano come nel ventre di chi soffre ai margini dell’esistenza” (Barbara Monacelli). “La personalità dell’artista, schiva e solitaria ed il suo amore per Parigi, dove si reca più volte, le immagini dei diseredati, dei mendicanti, così frequentemente presenti nella sua pittura, ricreano, osservando la sua opera, quel clima novecentesco in cui convergono genio, follia e bohème. Al suo collo è sempre annodato un foulard scuro, con cui egli intende distinguere il proprio modo di essere, convinto che il pittore vive l’avventura dell’arte negli spazi più bui dell’esistenza. Eppure dipinge il tempo in cui vive, le contraddizioni della società e le fragili leggi della democrazia
Gennaro Esca nasce a Napoli, primo di cinque figli di Nunzio, impiegato alle Poste di Napoli e di Lucia Citarella, casalinga. Il giovane Esca si iscrive all’Istituto Statale d’Arte di Napoli. Frequenta il primo anno quando, visitando una mostra a Mergellina, presso il Centro d’Arte “La Spelonca”, conosce Gabriele Zambardino, direttore del Centro sul lungomare Caracciolo. “La Spelonca” è una bottega-galleria, forse unica a Napoli alla fine degli anni sessanta, che apre ai giovani talenti più promettenti della città i suoi spazi senza condizioni. È una sorta di “cenacolo” che offre mezzi ed i suoi locali ai nuovi artisti emergenti. Zambardino, prima che direttore della Galleria, è scultore geniale e autodidatta, convinto che gli artisti siano tanto più temprati quanto più sregolata risulti la loro vita. Offre ad Esca una stanza all’interno de “La Spelonca” in cui poter lavorare liberamente, mettendogli a disposizione tele, colori e argilla. Inizia una lunga collaborazione che vedrà nascere in quel luogo alcune delle opere più significative dell’artista: Il monco (olio su tela, collezione Mangialacapra, Napoli), Il riposo dei lavoratori (olio su tela, collezione Ferrara, Napoli), L’acqua che sale (olio su tela, collezione privata, Bologna), La lotta (terracotta, collezione Fiore, New York), Cristo spogliato delle vesti (olio su tela, collezione Corrado Ursi, Cardinale di Napoli, Curia Arcivescovile, Napoli), Donna col cappello (grafite su carta cotone, collezione privata, Parigi).Nel 1970, a diciannove anni, Esca allestisce la sua prima personale a “La Spelonca”. Nessuna delle opere esposte resta invenduta. Da quel momento, in Italia, esiste un nuovo artista. “Esca è un pittore che non somiglia a nessuno. Non solo Napoli dovrà tenerne conto
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